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Knit Club

CAROLYN DRAKE

BOOK

Articolo di Elena Dolcini 

Knit Club è il primo libro non autoprodotto di Carolyn Drake, fotografa americana, membro dell’agenzia Magnum, il cui lavoro è stato esposto anche in Italia, nel 2019 a Officine Fotografiche, Roma, in occasione di una mostra curata da Laura De Marco. Pubblicato nel 2020 per TBW Books, il libro è stato recentemente nominato tra i migliori fotolibri a “Rencontres”, Arles, ed è il risultato editoriale di un lavoro che ha coinvolto non solo la fotografa, ma una parte della comunità di Water Walley, piccola cittadina nello stato del Mississippi, dove Drake e il compagno, Andres Gonzalez, anche lui fotografo (e, tra l’altro, autore del mozzafiato American Origami, FW:Books, 2019), hanno vissuto per qualche tempo.

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Courtesy Carolyn Drake/ Magnum Photo

Drake è da sempre impegnata nella realizzazione di progetti fotografici con l’obiettivo di osservare e indagare la relazione tra realtà sociale-politica e individuo, criticando e mettendone in questione abitudini consolidate, prassi e meccanismi. Knit Club è il risultato di un lungo processo di avvicinamento e poi di inclusione della fotografa all’interno di un circolo, il “knit club” appunto, composto da sole donne di età diversa, che si riuniscono non solo per lavorare a maglia, ma per condividere punti di vista e percorsi esistenziali, come in un club segreto, i cui rituali sono misteriosi ai non “iniziati”.
Non è la prima volta che lo sguardo riflessivo e compassionevole - nel senso etimologico del termine, dal greco antico “συν + πάσχω”: sentire insieme - di Drake si rivolge al mondo femminile: Internat, ad esempio, progetto e libro del 2017, è dedicato alle bambine e ragazze disabili di un orfanotrofio in Ucraina, con cui la fotografa ha collaborato attivamente e che ha invitato a intervenire sull’opera dell’artista etnografa e contadina Taras Shevchenko, come dimostra l’immagine che apre e chiude il libro.
Da sempre la ricerca di Drake abita il territorio della condivisione: la fotografa statunitense è interessata al luogo in cui autore e “modello”, artista e soggetto fotografato, si incontrano, per abbassare il muro tra i due e per riposizionare il fotografo all’interno di questa relazione. In questo, Drake assomiglia a un etnografo, consapevole della diversità, non antagonista ma creativa, tra la propria Welthanshuung e quella del mondo che osserva e su cui scrive poi. 

Parafrasando la celebre definizione di Nicolas Bourriaud, si potrebbe parlare di Drake come di un’artista relazionale, per cui il dialogo con i soggetti fotografati non solo è parte strutturale del processo artistico, ma assume un’importanza primaria: ad emergere, anche per dichiarazione dell’autrice stessa, è la specifica processualità, il percorso - spaziale, temporale, dialettico e, non da ultimo, disinteressatamente esistenziale - necessario per solidificare le relazioni tra Drake e le altre donne.

Nicolas Bourriaud, nella sua opera magna Estetica Relazionale (Postmedia Books, prima edizione italiana, 2010), parla di transitività, intesa principalmente tra l’artista e il pubblico, ma va anche oltre, citando Jean-Luc Godard che sostiene che “bisogna essere in due per fare un’immagine”. Qui il “fare” godardiano è sinonimo di un quid poietico, relativo alla sfera dell’artigianalità, o meglio, dell’azione e della modifica sul reale che l’atto comporta. “Se questa frase sembra riprendere quella di Duchamp, quando sosteneva che sono gli spettatori a fare i quadri” - dice Bourriaud - “si spinge però oltre, ipotizzando che il dialogo sia l’origine stessa del processo di costituzione dell’immagine:
sin dall’inizio si dovrebbe già negoziare, presuppore l’Altro…”
Per Knit Club, l’autrice ha trascorso molto tempo solo portandosi dietro la macchina fotografica, senza utilizzarla; per scattare ha aspettato il tempo necessario per non sentirsi più un’intrusa che guarda dall’esterno un mondo Altro. In questo processo tanto professionale quanto esistenziale, viene inevitabilmente meno l’obiettività di colei che guarda da fuori il mondo su cui riflette; ma questo distacco sarebbe funzionale a un’opera scientifica e non a un progetto fotografico-artistico, che, invece, beneficia della comunicazione appassionata tra autore e soggetto fotografato.

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Courtesy Carolyn Drake/ Magnum Photo

Knit Club si compone di vari ritratti delle donne con cui Drake ha condiviso questo percorso, di autoritratti della fotografa, così come di vedute di interni ed esterni; molto spesso i soggetti di Drake, lei compresa, sono fotografati con maschere che coprono il volto. La maschera, metafora del velo, della copertura e di uno slittamento semantico anche surreale, legata tanto ludicamente quanto tragicamente alla persona, fin dal suo significato etimologico, è l’elemento centrale del libro e contiene in sé molteplici dimensioni estetiche e interpretative. In una fotografia mamma e figlio (o figlia) sorreggono davanti a loro un quadro, probabilmente dipinto vari secoli fa, che ritrae una bambina vestita elegantemente, quasi da adulta, con in mano una bambola, all’interno di una camera borghese; un’altra fotografia ritrae sempre mamma e figlia, quest’ultima con il volto girato dalla parte opposta all’obbiettivo, mentre la madre ha una maschera di creta sul viso.
Questa maschera, che non è un objet trouvè, trovato e così riproposto, è il risultato di un lavoro più o meno collettivo e artigianale all’interno del knit club, ed è quindi esempio della dimensione partecipatoria, relazionale e installativa dell’opera di Drake, che fotografa veri e propri allestimenti composti e realizzati con materiali eterogenei da lei come da altre donne.

Si sono menzionate un paio di immagini che ritraggono la coppia madre-figlia e non a caso: infatti i riferimenti alla maternità e al suo complesso significato spirituale ed empirico sono molteplici e percorrono trasversalmente il libro. Drake, che dedica Knit Club alla madre, conferisce alla sua opera un inevitabile elemento autobiografico quando confessa al suo lettore/osservatore di non essere madre lei stessa; inoltre, prima della conclusione della sequenza fotografica l’autrice fa parlare Addie Bundren intorno alla differenza tra il parlare sulla maternità e la sua realtà empirica, tra parole e fatti, tra astrazioni ed eventi. La morte di Addie Bundren, moglie e madre di cinque figli, è il motore della storia raccontata da Faulkner in As I lay Dying; questo capolavoro del cosiddetto genere “Southern Gothic”, pubblicato nel 1930 e tradotto in italiano da Adelphi (Mentre Morivo, collana Gli Adelphi, 2000 a cura di Mario Materassi) è il punto di partenza, quasi archetipico, del progetto intero di Drake, che, ispirata dalla sua struttura orizzontale a più voci, senza un narratore onnisciente, ha deciso poi di realizzare un progetto nel quale, per parafrasare il padre del postmodernismo Lyotard, l’autore muore.
As I Lay Dying è il racconto crudo e poetico di una famiglia degli Stati Uniti del Sud, disfunzionale, povera, tra i cui componenti aleggiano segreti, e del suo viaggio per dare sepoltura alla madre; i titoli dei vari capitoli del libro corrispondono ai nomi dei personaggi dal cui punto di vista di volta il lettore osserva la storia, anticipando una pluralità narrativa quasi postmoderna.

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Courtesy Carolyn Drake/ Magnum Photo

Similmente, in Knit Club si ritrova questa polifonia, un concerto di voci eterogenee che concorrono, ognuna a suo modo, alla costruzione dell’opera d’arte; un proverbio africano racconta che, per assicurarsi la crescita sana, psichica e fisica, del bambino, questo debba essere “accudito” dal villaggio intero e mai solo da una mamma o un padre; similmente anche l’opera d’arte, perché di arte stiamo parlando - fatta di simbologie, trascendenze cromatiche, ombre e luci “gialle come oro, oro morbido”, direbbe Faulkner- vive di frequentazioni e rapporti eteronomi. Drake, nel parlare del libro, ne racconta apertamente la collettività, una dimensione corale che, al di là della bravura stupefacente della sua coreografa, dimostra essere l’élan vital dell’intero progetto.

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Courtesy Carolyn Drake/ Magnum Photo

Carolyn Drake - Knit Club

TBW BOOKS

118 Pagine 

21×28 cm

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